Solo uno scherzo, tra il noir e il nonsense, per la fine dell’anno 2003/04 della Scuola di Counseling dell’Associazione Shinui di Bergamo.
Avevo spento l’ultima sigaretta di una giornata né migliore né peggiore di altre. Avevo lasciato da mangiare al criceto e mi preparavo a tornarmene a casa. Bussarono alla porta. Guardai l’orologio: chi poteva essere a quell’ora?
“Avanti”, dissi senza troppa convinzione.
La porta si aprì. Era una donna dall’aspetto elegante, avvolta in una nube di fumo.
“Buonasera signor Blaise” disse. “Mi chiamo Kellerman. Anna Kellerman. So che è tardi, ma mi lasci entrare. Quando mi avrà ascoltata capirà”
Abbandonò la nube di fumo e si diresse verso la mia scrivania. Si sedette e con calma tirò fuori uno specchietto dalla borsa di coccodrillo. Continuò a parlare mentre si guardava con noncuranza nello specchietto.
“Counseling, signor Blaise. Le dice niente?”
Decisi di accendermi un’altra sigaretta. Improvvisamente la mia voglia di tornarmene a casa era sparita. Ma se una parte di me voleva saperne di più, l’altra sentiva che me ne sarei pentito…
“Cosa ne sa, signor Blaise?”
“Quanto lei ne sa di baseball, probabilmente” le risposi. “Ma perché le sta così a cuore?”
“Non le ho ancora detto il resto…”
Sapevo che mi stavo inoltrando in qualcosa di pericoloso, ma ormai ci ero dentro. “Sputi fuori, signora Kellerman.”
Richiuse lo specchietto e lo ripose nella borsetta. Alzò lo sguardo.
“Counseling sistemico.”
Sobbalzai sulla sedia. Anche il criceto, che fino a quel momento non aveva smesso di correre nella sua ruota, si fermò di colpo. Corsi alla porta del mio ufficio, mi precipitai nel corridoio. Vuoto. Per fortuna nessuno ci aveva sentiti.
“Lei è pazza, signora. Non sa in che gioco si sta ficcando. Dia retta a me: ci sono passatempi più sicuri per una donna di classe come lei. Ha mai pensato alla canasta? O alla ceramica? O alla lotta nel fango?”
“Nervoso, signor Blaise? La comprendo. Vorrà dire che mi rivolgerò a un suo collega.”
Sistemici. Conoscevo quella gente. Parola mia, raramente avevo incontrato gente così bizzarra, con quella loro idea che non si può non avere pregiudizi. Lo aveva detto un tale che chiamavano il Milanese…
“No, aspetti. Prima voglio capirne di più. Perché lo cerca?” le chiesi.
“Voglio capire di cosa si tratta. E dove trovarlo.”
“Ci hanno provato in tanti, signora. Qualcuno ci ha investito tre anni, e non sono bastati…”
Non mi ascoltava. Continuò: “Dalle ultime informazioni che ho, lo hanno visto che parlava con la psicoterapia…”
“Terapeuti? Dia retta a me, signora. Ne stia fuori. Quella è gente che non scherza, guai ad avvicinarsi troppo!”
“Non sia ingenuo, signor Blaise. La terapia non è altro che una costruzione sociale. Possibile che non l’abbia capito? Ah, e già che ci siamo: Babbo Natale non esiste.”
Rimasi in silenzio per qualche attimo. Non potevo credere alle mie orecchie.
“Come ha detto? Cos’è che ha detto?”
“Babbo Natale non esiste.”
“No, no… intendevo quell’altra roba… la realtà come costruzione.”
“Non lo sapeva?”
“Vuol dire che io e lei… noi… questa stanza… il criceto…”
“Se esiste una realtà, intende? Suvvia, non sia sciocco, signor Blaise. Vuole farmi credere che non ha ancora capito che è inconoscibile? È solo una questione di consenso…”
“Già, consenso. E magari vorrebbe farmi credere anche a quella storia che ogni cosa detta è detta da un osservatore a un altro osservatore…”
“…che può essere lui stesso, signor Blaise. È così.”
Ero sempre più nervoso. Un’altra sigaretta ci stava proprio bene.
“Sa cosa vuol dire tutto questo, signora Kellerman?”
“Cosa?”
“Duecento al giorno più le spese.”
“Non è un problema, signor Blaise, lo sa. Questo vuol dire che accetta?”
Non è un problema… Già: a occhio e croce da qualche parte doveva esserci un signor Kellerman che se ne intendeva di diamanti.
“Diciamo che voglio vedere più da vicino. Da dove cominciamo?”
“Ipotizzazione. Ne ha sentito parlare?”
“Conosco un cinese, giù in città, che sarebbe disposto a giurare che l’ipotizzazione non è altro che un processo di costruzione multivocale di storie… Ha letto Derrida e il decostruzionismo. Oggi gestisce una friggitoria all’angolo con la 47a”
“Lo vede? È questo che non è chiaro. Come la mettiamo con quelli che sono sicuri che l’ipotesi sia o vera o falsa?”
Già. Mi ricordavo di una sparatoria della quale la polizia non era mai venuta a capo. Nell’ambiente dei ricettatori si diceva che era nata da una rissa sulla natura dell’ipotesi… ma nessuno dei coinvolti era più in grado di spiegare alcunché sull’accaduto. Né su nient’altro, intendo. Le ragioni di quella sparatoria erano annegate per sempre in una pozza di sangue.
“Vera o falsa… preferisco dire operativamente funzionale” sottilizzai.
“Lo sapevo. Sembra un duro, ma ha un cuore postmoderno…”
Un cuore postmoderno… Non ricordavo l’ultima volta che una donna mi avesse detto una cosa del genere.
“Non è questo il punto, signora. Ho visto i migliori rompersi il naso contro un’ipotesi soltanto perché si ostinavano a ritenerla vera.”
“Appunto. Glielo dicevo che io e lei non siamo poi così distanti, signor Blaise…”
Nella mia testa cominciavano a comporsi delle tessere che fino a quel momento non avevano voluto saperne. Mi tornò in mente un’indagine di qualche anno prima, il caso della classe di tutte le classi che non sono membri di sé stesse. Si faceva strada l’idea che fra i due casi ci fosse più di un collegamento…
“Ma una cosa non mi è chiara” dissi. “Se l’ipotesi è soltanto una costruzione, e se il counselor non può conoscere la realtà, allora…”
“…allora ci è dentro fino al collo. Sì, signor Blaise, è possibile.”
Anche il criceto mi guardava preoccupato.
“Ma insomma, non ha senso! Viene qui a quest’ora della notte a dirmi che si può essere contemporaneamente dentro e fuori una storia. È paradossale!”
“Non ho detto che non lo sia. Si chiama ironia essenziale. Ha una sigaretta, signor Blaise?”
Le porsi il mio pacchetto. Ne estrasse una sigaretta e la portò alla bocca con un sospiro.
“C’è ancora qualcosa che dovrei sapere?” chiesi preoccupato porgendole il fuoco del mio accendino.
Si schiarì la voce. “Ho sentito dire… Sì, insomma… mi hanno detto che il counselor è neutrale.”
“Neutrale? Ma andiamo, sono storie per i gonzi! Non ci crede più nessuno! Ho smesso di credere alla neutralità da quando ho visto un vero doppio legame. Ha mai visto un doppio legame, signora? C’è da perdere il sonno. Le assicuro che se lo avesse visto, ora non starebbe qui a cianciare di neutralità… Come fa a crederci ancora?”
Mi ero alzato dalla mia sedia e ora ero lì, in piedi alle sue spalle. Si voltò appena.
“E lei, signor Blaise? Lei in cosa crede?”
Sospirai. “Vuole proprio saperlo? Credo che mi farò un whisky”. Mi diressi in silenzio verso il mobile bar e mi versai da bere.
“Se lo ricorda, signora, il caso del barbiere che fa la barba a tutti quelli che non si radono da soli? Beh, io me lo ricordo bene. Era mio cugino. È morto così, soffocato nel suo barbone, senza sapere chi avrebbe dovuto raderlo. Se lo avesse visto, se avesse visto la sua espressione… e la sua barba… fu liquidato come un problema di logica matematica, lo chiamarono ‘il paradosso del barbiere’ e lo archiviarono. Ma io so che fu un doppio legame vero e proprio. Sono anni che cerco di scoprire chi l’ha ridotto in quello stato. Generazioni di cervelloni ci si rompono la testa, ma io l’ho visto morire… e lei mi parla di neutralità. Lo vada a raccontare a mio cugino. Le assicuro, signora, avrebbe dovuto conoscerlo. Non c’era un altro come lui.”
“Si calmi. D’altronde se suo cugino si fosse rivolto a un buon counselor aziendale, non avrebbe fatto quella fine.”
Cominciavo a detestarla. “Ma come fa ad essere sempre così distaccata?”“La chiami pure capacità di usare i diversi aspetti del sé entro i limiti di tolleranza di un dato contesto.”
“Limiti di tolleranza… come dire che nello sviluppo a lungo termine di un sistema, a periodi di squilibrio si alternano periodi di omeostasi… è così che la fluttuazione è contenuta entro limiti controllabili, no?”
“Ora è lei a stupirmi, signor Blaise.”
“È la strutturale, baby.”
La donna si alzò, con l’aria di chi vuole tagliare corto. “Bene. Non ho altro da aggiungere, signor Blaise. Vuole pensarci su?”
Sorrisi aprendole la porta. “Trecento al giorno più le spese. La chiamo appena ho qualcosa.”
Uscii nella notte di Bergamo che non c’era più nemmeno un bar con la serranda alzata e l’ultimo dei taxi era rientrato già da un pezzo. Mi avviai a piedi nella nebbia.
Che strana donna. Sentivo che quell’incontro mi avrebbe segnato e che quella storia del counseling non l’avrei dimenticata tanto presto.
Solo una cosa non riuscivo a perdonarle: quella cattiveria su Babbo Natale. Ci sono argomenti su cui non si scherza…