Psicologia & psicoterapia

I commenti dei colleghi
Integrazioni ed eclettismi (1) Gianluca Resicato: Il terapeuta, il dodo e il potere delle teorie

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Come speravo, arrivano commenti al mio post “Integrazioni, neotecnicismi post-narrativi, amnesie ed eclettismi vecchi e nuovi“. Con enorme piacere e altrettanta gratitudine pubblico qui, per cominciare, quello che mi arriva da Gianluca Resicato, Psicologo, Psicoterapeuta, Dottore di ricerca presso l’Università Luigi Vanvitelli di Napoli.
(Qui trovate il post originario e le risposte, pubblicate a mano a mano che arrivano).


Massimo, grazie per la condivisione, ti leggo volentieri perché trovo il tuo modo di pensare ricco di spunti che evocano riflessione e questo tuo articolo me ne ha sollecitate un po’. Cerco di procedere con ordine magari elencando le mie idee sollecitate dalle tue.

1. La prima è sulla cassetta degli attrezzi: gli attrezzi non hanno più senso di chi li adopera, se prendiamo la metafora il punto che mi sollecita la tua riflessione è che gli attrezzi non sono buoni di per sé, ma diventano “possibilità” se adoperati con una ratio. La ratio sta nella capacità di ragionamento clinico, nelle premesse diciamo così teoriche del terapeuta  e nelle premesse personali. Quest’ultima vale per le tecniche quanto per le teorie: credo non esista una tecnica che non è applicata da un terapeuta così come non esiste un pensiero che non è incarnato nelle premesse del terapeuta: cioè non tutti siamo sistemici allo stesso modo. Definire le teorie e le tecniche come oggetti non ha molto senso, d’altronde la ricerca in psicoterapia ci dice che il terapeuta conta molto di più delle tecniche e che il verdetto del dodo relativizza il potere delle teorie intese meramente come oggetto. (poi ci torno sul verdetto del dodo, perché nelle storie a parere mio ci sono chiavi di comprensione).

2. il passo che citi di Terapia Sistemica Individuale è quello che ha ispirato molto anche me, cioè — come dicevano Boscolo e Bertrando — i terapeuti bravi fanno una molteplicità di cose e questo riflette quello che il terapeuta ha maturato negli anni. Il punto non è essere dentro o fuori una teoria, il punto è essere sintonizzati o meno con l’altro  ecco che allora certe idee hanno senso quando emergono in una cornice di pensiero che il terapeuta sente appartenergli. Ho una precedente formazione psicoanalitica maturata nel dottorato e in un’analisi freudiana, la butto via? Certo che no. Mi serve per aiutarmi a pensare e non mi chiedo quanto sono dentro o fuori l’approccio sistemico, quanto piuttosto se il mio pensare è in sintonia o meno con il paziente. Poi è chiaro che non faccio interpretazioni sul complesso edipico, nemmeno mi sfiora la mente, perché le mie premesse sono diverse.

3. “Una terapia può essere efficace anche al di là della comprensione del paziente”. Questo è un punto chiave, perchè con onestà intellettuale dobbiamo ammettere che una terapia è efficace anche al di là delle intenzioni del terapeuta. In un bellissimo articolo Ivan Eisler diceva che Minuchin credeva che l’anoressia fosse generata dall’invischiamento familiare, ma i dati empirici hanno dimostrato che non è così, casomai l’invischiamento non è un modello eziologico ma un modello di mantenimento, e non lo è nemmeno in una buona parte delle famiglie con anoressia. Allora perché la terapia di Minuchin era efficace? La domanda di Eisler resta inevasa. Noi non sappiamo molto su cosa produce il cambiamento e come effettivamente opera una terapia, abbiamo delle idee ma nulla più. Questa è la vera sfida di una scienza come la nostra, capirne un po’ di più.

Vengo all’ EMDR. La storia è la stessa più o meno della validità di contenuto di un test: misura davvero quello che vogliamo misurare? Qui emergono dei paradossi, togli la desensibilizzazione e l’EMDR è efficace lo stesso. Allora cosa promuove il cambiamento? Quello che sappiamo dei traumi è che il lavoro attivo su di essi sblocca delle cose e aiuta. Ma anche qui dobbiamo fare attenzione alle teorie, perché rischiano di essere principi dormitivi: sembra che il trauma non si inscriva in un contesto ed invece anche il trauma si inscrive in un contesto.
Oggi le parole evidence based — lo sono tutti, ormai si autovalidano: proprio ora una collega americana mi ha mandato un capitolo dell’Handbook of Psychotherapy dell’APA dall’eloquente titolo “Evidence-Based: Psychotherapy on what can we agree?” — ed efficacia hanno poco senso se non capiamo meglio cosa c’è dentro la matrioska psicoterapia.
La storia del dodo insegna: la maratonda (caucus race in inglese) nasce per asciugare alcuni personaggi dopo che le lacrime di Alice li avevano bagnati, la corsa non ha un percorso definito né un traguardo. Le ricerche competitive in realtà fanno lo stesso perché paragonano cose differenti tra loro sotto la falsa egida dell’uguaglianza.

4. Perché la terapia sistemica decide di incorporare l’emdr? È una scelta di mercato da un lato, però conosco tanti terapeuti esperti che si formano con l’emdr e ne dichiarano un vantaggio: la confezione protocollare dell’emdr implica una minore fatica per il terapeuta. La scelta è comprensibile ma io non sono d’accordo: non bisogna mai cessare di riflettere in terapia, scegliere un protocollo rischia di essere antiriflessivo per il terapeuta che potrebbe affidarsi al protocollo più di quanto si affidi il paziente.
Io, infine, una critica alla terapia sistemica la faccio da anni: sotto l’egida della complessità ha smesso di spiegarsi le cose. A volte sembra un principio dormitivo anch’essa: siccome è complesso non cerco di spiegarlo. Potrebbe il cambiamento ed il funzionamento della psicoterapia sottostare al principio di Morin di incompressibilità algoritmica, ma conoscere una parte dell’algoritmo è meglio di non conoscere nulla. La parte però deve essere empiricamente fondata, non un’idea figa ma vuota di verifica su come funziona la psicoterapia, che poi significa dire cosa succede davvero. Non ce la possiamo nemmeno cavare col costruttivismo radicale, ovvero la verità è quella che vedo, perché in terapia siamo almeno in due.

Ultima critica alla terapia sistemica è che ha smesso di fatto di chiedersi il ruolo della macrosocietà nel generare e mantenere certe disfunzioni e, concordo con te, mai come in questo momento i sistemici potrebbero e dovrebbero dire la loro.